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Verga, I Malavoglia e La Terra Trema |
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LA VITA
1840-1865 Nasce a Catania il 2 settembre del 1840 in una famiglia di agiate condizioni economiche e di origine nobiliare. Ad undici anni inizia gli studi alla scuola di Antonino Abate, letterario e patriota, e, poi, del canonico Mario Torrisi. Il tipo di educazione ricevuta è, sul piano politico, patriottica risorgimentale e, sul piano letterario, sostanzialmente romantica. Si iscrive alla facoltà di legge ma non termina gli studi, tutto preso dalle vicende storico-politiche (dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia). Di questa educazione testimoniano le prime prove narrative: l'inedito Amore e patria,ispirato alla rivoluzione americana e scritto a 17 anni, I carbonari della montagna pubblicato nel 1861 a spese dell'autore il quale vi impegnò la somma destinata al proseguimento degli studi di giurisprudenza che infatti interruppe. Nello stesso anno si arruola nella guardia nazionale di Catania e svolse un’intensa attività di giornalista (fu tra i fondatori e i redattori di tre giornali, il primo dal titolo assai significativo, «Roma degli Italiani», che ebbero tutti una breve durata). Nel 1863 il periodico fiorentino "Nuova Europa" pubblica a puntate il romanzo Sulle lagune. Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871) 1865-1872 Dopo la morte del padre, nel 1865 si stabilisce a Firenze dove frequenta l'ambiente letterario di Francesco Dall'Ongaro, giornalista, professore di letteratura drammatica e autore del noto testo teatrale «Il fornaretto di Venezia». Conosce i poeti Giovanni Prati e Aleardo Aleardi e la scrittrice Caterina Percoto, autrice di racconti di ambiente paesano. Diventa autore di successo dapprima con il romanzo Una peccatrice (1866) e quindi con Storia di una capinera edita nel 1871. Fondamentale, negli anni fiorentini, è l'incontro con Luigi Capuana con il quale inizia un rapporto d'amicizia e un sodalizio letterario. Così scriveva ai familiari: «Firenze è davvero il centro della vita politica e intellettuale d’Italia; qui si vive in un'altra atmosfera.» 1872-1894 Si
trasferisce a Milano, città in cui sono vivacissimi gli scambi letterari:
nasce in quegli anni la Scapigliatura; sono attivi, negli stessi anni,
Giuseppe Giacosa e Federico De Roberto. 1894-1922 Si
stabilisce definitivamente a Catania, con brevi soggiorni a Milano e a
Roma dove, nel 1895 si incontra, insieme a Capuana, con Zola, maestro del
Naturalismo francese.
L'ATTIVITÀ LETTERARIA
L'attività
letteraria di Verga può essere divisa in tre fasi: In Sicilia ebbe una formazione letteraria provinciale, come si nota leggendo i suoi tre romanzi giovanili. In particolare, I carbonari della montagna (1861) è un romanzo storico (un genere che stava ormai passando di moda) che Verga dedicò ai suoi modelli di allora, Francesco Domenico Guerrazzi e Alexandre Dumas. Fondamentale nel suo cambiamento di interessi fu l'abbandono dell'isola nel 1869, quando Verga partì per Firenze. Introdotto dal poeta Francesco Dall'Ongaro nella buona società cittadina, si dedicò allo studio della vita borghese che aveva davanti agli occhi, con un particolare interesse per le figure femminili e le vicende sentimentali, come si può capire dai titoli dei romanzi che scrisse in questo secondo periodo "mondano": Una peccatrice (1866), Eva (1873), Eros (1875). Grande successo riscosse in particolare Storia di una capinera (1871), il racconto della monacazione forzata della protagonista che, innamorata del marito della sorella, muore in preda alla disperazione. Se il romanzo Il marito di Elena (1882) continuò lungo questa linea di ricerca espressiva, la produzione successiva a quella fiorentina prese un'altra strada. Nel 1872, quando si trasferì a Milano, capitale dell'editoria, frequentò gli scapigliati Arrigo Boigo e Giuseppe Giacosa, grazie anche all'appoggio di Salvatore Farina, uno scrittore allora molto celebre. Qui fu raggiunto dall'amico Luigi Capuana, scrittore e critico letterario teorico del verismo. La svolta letteraria si può datare al 1874, l'anno in cui fu pubblicata una novella intitolata Nedda, definita dall'autore un "bozzetto siciliano". L'ambiente non è più urbano ma rurale; la storia non è più ambientata al Nord ma in Sicilia; i protagonisti sono umili contadini. Anche qui protagonista della vicenda è una donna, ma la sua situazione è tragica e concreta, non astratta e sentimentale. Da quel momento in poi la Sicilia contadina con la sua antica cultura fu al centro del lavoro dello scrittore catanese, sia nelle novelle, sia nei romanzi. I due volumi di racconti Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883) contengono alcuni dei capolavori verghiani, testi divenuti celebri come La lupa, La roba (storia di Mazzarò, un contadino diventato proprietario terriero ma rimasto vecchio e solo, ridotto alle soglie della pazzia), Rosso Malpelo (un ragazzo destinato a lavorare e a morire in miniera, ricalcando il tragico destino del padre), Cavalleria rusticana (racconto di un duello mortale scatenato dalla gelosia).
I ROMANZI DELLA MATURITÀ
I
Malavoglia (1881) racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive
e lavora ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino a Catania. Protagonista
del romanzo è tutto il paese, fatto di personaggi uniti da una stessa
cultura ma divisi da antiche rivalità. Mastro-don
Gesualdo (1889), invece, mette in risalto la storia del protagonista che
dà il titolo al romanzo. Di origini modeste, Gesualdo riesce a vincere il
suo destino di miseria e diventa ricco. Il matrimonio con la nobile Bianca
Trao non cancella la sua modesta estrazione sociale: persino la figlia
Isabella si vergogna del padre. Rimasto solo, Gesualdo muore nel palazzo
ducale di Palermo, abbandonato dai suoi e ignorato dalla servitù che si
prende gioco di lui. Fu un insuccesso inatteso e Verga, amareggiato, si ritirò a Catania abbandonando la scrittura. Il progettato "ciclo dei vinti", cioè coloro che nella lotta per l'esistenza sono destinati ad essere sconfitti, che prevedeva altri tre romanzi ambientati a un livello sociale progressivamente superiore (La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso), restò così incompiuto. Il
successo arrivò a Verga per altre vie.
COME SCRIVE VERGA
Per riprodurre la società nel modo più "vero", Verga la osserva scrupolosamente, studiando l'ambiente fisico ed il dialetto, documentandosi sui mestieri e sulle tradizioni; inoltre usa uno stile impersonale in modo che il lettore si trovi - come dice lui stesso - «faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro attraverso la lente dello scrittore». Così sembra che i personaggi e le vicende si presentino da sé, e chi legge ha l'impressione di essere messo a diretto confronto con la realtà di cui si parla. Per ottenere l'impersonalità Verga adotta il punto di vista della gente, di chi fa parte dell'ambiente che sta descrivendo, evita cioè di esprimere il suo personale giudizio e i suoi sentimenti. E per rendere ancora più vera e impersonale la rappresentazione, lo scrittore costruisce una lingua nuova: è la lingua nazionale (non usa il dialetto siciliano perché vuole che le sue opere siano lette in tutta l'Italia) arricchita di termini di origine dialettale, di modi di dire e proverbi, di una sintassi modellata sul ritmo della lingua parlata dal popolo.
I MALAVOGLIA
E' il primo romanzo del "Ciclo dei vinti" rimasto incompiuto, in cui lo scrittore manifesta la sua visione amara della vita. Il romanzo narra le disavventure di una famiglia umile di pescatori di Acitrezza (Catania) che cerca di migliorare le sue condizioni economiche. «I Malavoglia» raccontano la storia amara di una sconfitta nella quale si esprime il pessimismo radicale di Verga. Non c’è speranza di cambiamento per gli oppressi, soggetti ad una legge di natura, quella della vittoria del più forte e della selezione naturale, che essi non possono controllare. E questa condizione degli umili diventa emblematica di quella dell’intera umanità. L’unico valore positivo che si afferma nel mondo verghiano è quello della dignità umile ed eroica con cui l’uomo sopporta il proprio destino, rinunciando a inutili ribellioni. Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola, vissuta sino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell'ignoto, l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. Il movente dell'attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l'uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei "Malavoglia" non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, "Mastro-don Gesualdo", incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella "Duchessa de Leyra"; e ambizione nell'"Onorevole Scipioni", per arrivare all'"Uomo di lusso", il quale riunisce tutte coteste bramosìe, tutte coteste vanità, tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto. A misura che la sfera dell'azione umana si allarga, il congegno della passione va complicandosi; i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l'educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all'idea, in un'epoca che impone come regola di buon gusto un eguale formalismo per mascherare un'uniformità di sentimenti e d'idee. Perché la produzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell'argomento generale. Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l'accompagna dileguandosi le irrequietudini, le avidità, l'egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l'immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c'è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l'attività dell'individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, dalla ricerca del benessere materiale alle più elevate ambizioni, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada quest'immensa corrente dell'attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l'osservatore, travolto anch'esso dalla fiumana, guardandosi intorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall'onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sovravvegnenti, i vincitori d'oggi, affrettati anch'essi, avidi anch'essi d'arrivare, e che saranno sorpassati domani. I
"Malavoglia", "Mastro-don Gesualdo", la "Duchessa
de Leyra", l'"Onorevole Scipioni", l'"Uomo di
lusso" sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva,
dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato,
che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno, dal
più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per
l'esistenza, pel benessere, per l'ambizione - dall'umile pescatore al
nuovo arricchito - alla intrusa nelle alte classi - all'uomo dall'ingegno
e dalle volontà robuste, il quale si sente la forza di dominare gli altri
uomini, di prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il
pregiudizio sociale gli nega per la sua nascita illegale; di fare la
legge, lui nato fuori della legge - all'artista che crede di seguire il
suo ideale seguendo un'altra forma dell'ambizione. Chi osserva questo
spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a
trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza
passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare
la rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto
essere.
Il
centro di tutto è una barca da pesca: la tartana dei Malavoglia chiamata
"Provvidenza". La "Provvidenza" è la barca più
vecchia del villaggio, ma aveva il nome di buon augurio. Era anche essa
una persona nella famiglia esemplare dei Malavoglia, la più onesta e
compatta del paese. Dopo
quella triplice sciagura, tutto sembra accanirsi contro i
Toscano-Malavoglia: Luca, il secondo dei nipoti, muore nella battaglia di
Lissa; Maruzza, la nuora, muore nel colera del '67. Il debito dei lupini
si mangia la casa, la cara «casa del nespolo» che era l'orgoglio, la
ragione di vita del vecchio; e già il debito aveva impedito le nozze
della nipote, la Mena, creatura di silenzio e sacrificio. Non è finita:
un nuovo naufragio della "Provvidenza" rattoppata lascia Padron
'Ntoni inabile al lavoro. Il primogenito 'Ntoni, che da quando ha fatto
servizio militare in continente non si rassegna alla miseria dei
pescatori, si dà al contrabbando e finisce in galera dopo aver ferito un
doganiere. Lia, la sorella minore, abbandona il paese e non torna più.
Mena dovrà rinunciare a sposarsi con compare Alfio e rimarrà in casa ad
accudire i figli di Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare
il pescatore, ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la «casa del
nespolo» che era stata venduta.
Gli
Elementi e i Temi:
ALTRE OPERE SIGNIFICATIVE
Mastro-don Gesualdo: è il secondo romanzo del "Ciclo dei Vinti", che doveva comporsi di cinque romanzi; in realtà l’autore si limitò ai primi due pensando di aver già dimostrato in essi la tesi che si era proposto: l’uomo, qualunque sia la sua posizione nella vita, è un vinto della vita stessa e deve sottomettersi al destino. Ne è un esempio Mastro-don Gesualdo, un manovale che è diventato ricco e rispettato a forza di duro lavoro e di sacrifici. Si innalza anche socialmente, sposando la nobile Bianca Trao che lo sposa per riparare ad uno sbaglio, ma non lo ama. Nasce Isabella che non è figlia di Gesualdo, ma egli considera la bimba come sua e la fa educare nei collegi più aristocratici. Morta Bianca, che a poco a poco si era affezionata al marito, Isabella si mostra ostile al padre sebbene egli sia disposto a soddisfare tutti i suoi capricci, anche quello di sposare un duca squattrinato che dissipa il patrimonio di Gesualdo, accumulato in tutta la vita. Quando Gesualdo si ammala, Isabella lo relega in una stanzetta del suo palazzo dove muore solo, sognando la sua casa e i suoi poderi, e rimpiangendo quella roba destinata a persone che non lo amano, come suo genero, il duca Leyra. Le Novelle Rusticane: è una raccolta di novelle che descrivono con precisione la gente e gli ambienti siciliani. Vita
dei Campi (1880):
è una raccolta di novelle, in cui, con stile asciutto e colorito, Verga
ritrae la vita rude della sua gente di Sicilia. Tuttavia emerge ancora dalla raccolta la sacralità di certi principi elementari del mondo contadino della sua terra che Verga vede inviolati: principi che si manifestano in modo ancora mitico, attraverso una sorta di arcaica liturgia. La Lupa, nella novella omonima, sa che il genero, col quale ha stretto un legame incestuoso, la ucciderà, ma quando vede lontano la falce dell’uomo brillare al sole, va consapevole incontro alla morte, che accetta come necessaria conseguenza della sua aberrante passione. Anche in Cavalleria rusticana la legge dell’onore si mescola a quella del sangue, secondo un rituale antichissimo, residuo di una civiltà primitiva, agli albori della storia. Talvolta la lotta per l’esistenza si configura come conflitto tra l’individuo, originalmente buono, e la società corrotta e corruttrice, perché intessuta di un gioco di egoismi che tendono a soverchiarsi. Ma il "primitivo" verghiano, pur ribellandosi ai comportamenti di questa società, è un vinto in partenza: Jeli il pastore si ribella al "signorino", che gli ha rubato la moglie e l’onore, e lo uccide, ma andrà in galera; Rosso Malpelo riesce in apparenza ad adeguarsi alle leggi della giungla (e si chiede perché la madre di Ranocchio morendo si disperi "come se il figlio fosse di quelli che guadagnano dieci lire la settimana"), ma alla fine si rassegna alla sconfitta, e sparisce nella cava durante un’esplorazione. |
©Grasso Giovanni e Antonio Guarnera 2000