Nella
zona dove oggi si stanzia la cittadina di Acitrezza: sull’isola,
nel litorale e sul Monte Fano si sono più volte fatte delle
importanti scoperte archeologiche mai approfondite abbastanza.
Durante l’ultima guerra i nostri soldati nello scavare dei
fossati per le proprie postazioni sull’isola, hanno rinvenuto
a poca profondità ossa umane, segno che lo scoglio ciclopico in
epoca non troppo lontana era abitato o comunque usato per terra
di sepoltura.
Tuttavia
già nella seconda età della pietra vi sono tracce di vita
umana testimoniate dalla sensazionale scoperta del prof.
Mantovani che ivi rinvenne un’ascia levigata in pietra verde
simile a Giadite nel 1869.
Ancora
sull’isola Lachea appare documentata l’esistenza dei Sicani
e dei Siculi. Infatti il De Fiore precisa che le due grotte che
si trovano scavate nel cappellaccio di marna, che si trova nella
parte superiore dell’isola, sono sicule.
Anche
se dice, una con certezza, mentre sull’altra qualche dubbio c’è,
perché la mano dei successivi cavatori l’ha sformata
notevolmente delle sue sembianze originarie.
A
dirla tutta il Sac. De Maria ci riferisce addirittura dell’esistenza
di ben 17 tombe scavate nella marna; e ancora il De Fiore
citando il prof. Casagrandi ci riferisce che sul Faraglione
grande vi è incavata una tomba, coperta di mattoni cotti; e il
Raccuglia ci dice che nella parte sud dell’isola, in mezzo ai
basalti, ne esiste un’altra che il mare, negli ultimi anni del
1800, scoprì lasciando uscire uno scheletro.
Ancora
sull’isola vi sarebbero tracce di un insediamento fenicio.
Avvalorano tale ipotesi il Recupero e il Raccuglia il quale
fonda la sua tesi su un passo "delle Guerre del
Peloponneso" di Tucidide: " I Fenici per negoziare coi
Siculi abitarono tutte all’interno le costiere della Sicilia,
occupati i promontori che sporgono in su quel mare, e le
isolette adiacenti".
Di altre tombe ci parla il Raccuglia che evidenzia come le tombe
scavate nella parte settentrionale dell’isola possono essere
fenicie o greche, mentre il Recupero arriva a sostenere che i
resti dei muri che per tramontana, levante e mezzogiorno,
cingono l’isoletta, che egli aveva notato sul cadere del sec.
XVIII (ancora oggi in parte esistenti) non erano che quelli di
una antica fortificazione, la cui area occupava i 2/3 dell’isola,
di opera fenicia.
Tesi
criticata dal Gravagno che appoggiandosi a Diodoro siculo vuole
che sull’isola vi fosse un edificio di culto almeno nel 289
A.C.
Ancora
l’isola Lachea ci offre un’altra scoperta: nel cavare le
fondamenta per la realizzazione della stazione biologica furono
rinvenuti dagli operai diversi chiodi di rame che il Sac.
Salvatore De Maria di Acitrezza si fece dare dietro pagamento e
che sono conservati nella sua collezione archeologica.
Il
tutto avvenne poco dopo che il marchese Gravina aveva donato l’isola
all’Università di Catania (1896).
Su
questi chiodi si è soffermato il De Fiore: "…Alcuni
chiodi di bronzo, rivestiti da una patina
azzorritico-malachitica, identici ad altri preistorici di
Adernò." il quale suppone che possano essere siculi o
greci senza però sbilanciarsi.
A.C.V.G. 2001
Presto la
storia degli eremiti che abitarono le grotte nel Medioevo!
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