CAPITOLO II
Per
tutto il paese non si parlava d'altro che del negozio dei lupini, e come la
Longa se ne tornava a casa colla Lia in collo, le comari si affacciavano
sull'Uscio per vederla passare.
- Un affar d'oro! - vociava Piedipapera,
arrancando colla gamba storta dietro a padron 'Ntoni, il quale era andato a
sedersi sugli scalini della chiesa, accanto a padron Fortunato Cipolla, e al
fratello di Menico della Locca che stavano a prendere il fresco. - Lo zio
Crocifisso strillava come se gli strappassero le penne mastre, ma non bisogna
badarci, perché delle penne ne ha molte, il vecchio. - Eh! s'è lavorato!
potete dirlo anche voi, padron 'Ntoni! - ma per padron 'Ntoni ei si sarebbe
buttato dall'alto del fariglione, com'è vero iddio! e a lui lo zio Crocifisso
gli dava retta, perché egli era il mestolo della pentola, una pentola grossa,
in cui bollivano più di duecento onze all'anno! Campana di legno non sapeva
soffiarsi il naso senza di lui.
Il figlio della Locca, udendo parlare delle
ricchezze dello zio Crocifisso, il quale a lui gli era zio davvero perché era
fratello della Locca, si sentiva gonfiare in petto una gran tenerezza pel
parentado.
- Noi siamo parenti - ripeteva. - Quando
vado a giornata da lui mi dà mezza paga, e senza vino, perché siamo parenti.
Piedipapera sghignazzava.
- Lo fa per tuo bene, per non farti
ubbriacare, e lasciarti più ricco quando creperà.
Compare Piedipapera si divertiva a sparlare
di questo e di quello, come capitava, ma così di cuore, e senza malizia, che
non c'era verso di pigliarsela in criminale. - Massaro Filippo è passato due
volte dinanzi all'osteria, - diceva pure - aspetta che la Santuzza gli faccia
segno di andarla a raggiungere nella stalla, per dirsi insieme il santo rosario.
Oppure al figlio della Locca:
- Tuo zio Crocifisso cerca di rubarle la
chiusa, a tua cugina la Vespa; vuol pagargliela la metà di quel che
vale, col darle ad intendere che la sposerà. Ma se la Vespa riesce a farsi
rubare qualche cos'altro, potrai pulirti la bocca della speranza dell'eredità,
e ci perdi i soldi e il vino che non ti ha dato.
Allora si misero a quistionare, perché
padron 'Ntoni sosteneva che lo zio Crocifisso alla fin fine era cristiano, e non
aveva dato ai cani il suo giudizio, per andare a sposare la figliuola di suo
fratello.
- Come c'entra il cristiano e il turco? -
ribatteva Piedipapera. - E' un pazzo, volete dire. Lui è ricco come un maiale,
mentre la Vespa non possiede altro che quella chiusa grande quanto un fazzoletto
da naso.
- Lo dite a me che ci ho a limite la vigna -
disse allora padron Cipolla gonfiandosi come un tacchino.
- Li chiamate vigna quei quattro
fichidindia? - rispose Piedipapera.
- In mezzo ai fichidindia ci sono le viti, e
se San Francesco ci manderà una buona pioggia, lo vedrete poi che mosto darà.
Il sole oggi si coricò insaccato - acqua o vento.
- «Quando il sole si corica insaccato si
aspetta il vento di ponente» - aggiunse padron 'Ntoni.
Piedipapera non poteva soffrire quello
sputasentenze di padron Cipolla, il guale perché era ricco si credeva di sapere
tutto lui, e di dar a bere le corbellerie a chi non aveva denari.
- Chi la vuol cotta e chi la vuol cruda -
conchiuse. - Padron Cipolla aspetta l'acqua per la sua vigna, e voi il ponente
in poppa alla Provvidenza. Lo sapete il proverbio «Mare crespo, vento
fresco». Stasera le stelle sono lucenti, e a mezzanotte camiierà il vento;
sentite la buffata?
Sulla strada si udivano passare lentamente
dei carri.
- Notte e giorno c'è sempre gente che va
attorno per il mondo - osservò poi compare Cipolla.
E adesso che non si vedeva più né mare né
campagna, sembrava che non ci fosse al mondo altro che Trezza, e ognuno pensava
dove potevano andare quei carri a quell'ora.
- Prima di mezzanotte la Provvidenza
avrà girato il Capo dei Mulini, - disse padron 'Ntoni - e il vento fresco non
le darà più noia.
Padron 'Ntoni non pensava ad altro che alla Provvidenza,
e quando non parlava delle cose sue non diceva nulla, e alla conversazione ci
stava come un manico di scopa.
- Voi dovreste andare a mettervi con quelli
della spezieria, che discorrono del re e del papa - gli diceva perciò
Piedipapera. - Colà ci fareste bella figura anche voi! Li sentite come gridano?
- Questo è don Giammaria - disse il figlio
della Locca - che litiga collo speziale.
Lo speziale teneva conversazione sull'uscio
della bottega, al fresco, col vicario e qualchedun altro. Come sapeva di lettere
leggeva la gazzetta, e la faceva leggere agli altri, e ci aveva anche la Storia
della Rivoluzione francese, che se la teneva là, a portata di mano, sotto il
mortaio di cristallo, perciò quistionavano tutto il giorno con don Giammaria,
il vicario, per passare il tempo, e ci pigliavano delle malattie dalla bile; ma
non avrebbero potuto stare un giorno senza vedersi. Il sabato poi, quando
arrivava il giornale, don Franco spingevasi sino ad accendere mezz'ora, ed anche
un'ora di candela, a rischio di farsi sgridare dalla moglie, onde spiattellare
le sue idee, e non andare a letto a mo' dei bruti, come compare Cipolla, o
compare Malavoglia. L'estate poi non c'era neppur bisogno della candela, giacché
si poteva star sull'uscio, sotto il lampione, quando mastro Cirino l'accendeva,
e qualche volta veniva don Michele, il brigadiere delle guardie doganali; e
anche don Silvestto, il segretario comunale, tornando dalla vigna si fermava un
momento.
Allora don Franco diceva, fregandosi le
mani, che pareva un piccolo Parlamento, e andava a piantarsi dietro il banco,
pettinandosi colle dita la barbona, con certo sorriso furbo che pareva si
volesse mangiare qualcuno a colazione, e alle volte si lasciava scappare
sottovoce delle mezze parole dinanzi alla gente, rizzandosi sulle gambette, e si
vedeva che la sapeva più lunga degli altri, tanto che don Giammaria non poteva
patirlo e ci si mangiava il fegato, e gli sputava in faccia parole latine. Don
Silvestro, lui, si divertiva a vedere come si guastavano il sangue per
raddrizzare le gambe ai cani, senza guadagnarci un centesimo; egli almeno non
era arrabbiato come loro, e per questo, diceviano in paese, possedeva le più
belle chiuse di Trezza, - dove era venuto senza scarpe ai piedi - aggiungeva
Piedipapera. Ei li aizzava l'un contro l'altro, e rideva a crepapancia con degli
Ah! ah! ah! che sembrava una gallina.
- Ecco don Silvestro che fa l'uovo, osservò
il figlio della Locca.
- Don Silvestro fa le uova d'oro, laggiù al
Municipio, rispose Piedipapera.
- Uhm! - sputò fuori padron Fortunato -
pezzenterie! comare Zuppidda non gli ha voluto dare la figliuola.
- Vuol dire che mastro Turi Zuppiddo
preferisce le uova delle sue galline - rispose padron 'Ntoni.
E padron Cipolla disse di sì col capo.
-«'Ntroi 'ntroi, ciascuno coi pari suoi» -
aggiunse padron Malavoglia.
Piedipapera allora ribatté che se don
Silvestro si fosse contentato di stare coi suoi pari a quest'ora ci avrebbe la
zappa in mano, invece della penna.
- Che ce la dareste voi vostra nipote Mena?
- disse alfine padron Cipolla, volgendosi a padron 'Ntoni.
- «Ognuno all'arte sua, e il lupo alle
pecore».
Padron Cipolla continuava a dir di sì col
capo, tanto più che fra lui e padron 'Ntoni c'era stata qualche parola di
maritar la Mena con suo figlio Brasi, e se il negozio dei lupini andava
bene, la Mena avrebbe avuto la sua dote in contante, e l'affare si sarebbe
conchiuso presto.
- «La ragazza com'è educata, e la stoppa
com'è filata» - disse infine padron Malavoglia, e padron Cipolla confermò che
tutti lo sapevano in paese che la Longa aveva saputo educarla la figliuola, e
ognuno che passava per la stradicciuola a quell'ora, udendo il colpettare del
telaio di Sant'Agata diceva che l'olio della candela non lo perdeva,
comare Maruzza.
La Longa, com'era tornata a casa, aveva
acceso il lume, e s'era messa coll'arcolaio sul ballatoio, a riempire certi
cannelli che le servivano per l'ordito della settimana.
- Comare Mena non si vede, ma si sente, e
sta al telaio notte e giorno, come Sant'Agata - dicevano le vicine.
- Le ragazze devono avvezzarsi a quel modo,
- rispondeva Maruzza, invece di stare alla finestra. «A donna alla finestra non
far festa».
- Certune però collo stare alla finestra un
marito se lo pescano, fra tanti che passano - osservò la cugina Anna dall'uscio
dirimpetto.
La cugina Anna aveva ragione da vendere;
perché quel bietolone di suo figlio Rocco si era lasciato irretire dentro le
gonnelle della Mangiacarrubbe, una di quelle che stanno alla finestra colla
faccia tosta.
Comare Grazia Piedipapera, sentendo che
nella strada c'era conversazione, si affacciò anch'essa sull'uscio, col
grembiule gonfio delle fave che stava sgusciando, e se la pigliava coi topi che
le avevano bucherellato il sacco come un colabrodo, e pareva che l'avessero
fatto apposta, come se ci avessero il giudi~io dei cristiani; così il discorso
si fece generale, perché alla Maruzza gliene avevano fatto tanto del danno,
quelle bestie scomunicate! La cugina Anna ne aveva la casa piena, da che gli era
morto il gatto, una bestia che valeva tant'oro, ed era morto di una pedata di
compare Tino. - I gatti grigi sono i migliori, per acchiappare i topi, e
andrebbero a scovarli in una cruna di ago. - Ai gatti non conveniva aprire
l'uscio di notte, perché una vecchia di Aci Sant'Antonio l'avevano ammazzata
così, che i ladri le avevano rubato il gatto tre giorni avanti, e poi glielo
avevano riportato mezzo morto di fame a miagolare dietro l'uscio; e la povera
donna non sentendosi il cuore di lasciar la bestiola sulla strada a quell'ora,
aveva aperto l'uscio, e così s'era ficcati i ladri in casa. Al giorno d'oggi i
mariuoli ne inventano di ogni specie per fare i loro tiri; e a Trezza si
vedevano delle facce che non si erano mai viste sugli scogli, col pretesto
d'andare a pescare, e arraffavano la biancheria messa ad asciugare, se capitava.
Alla povera Nunziata le avevano rubato in quel modo un lenzuolo nuovo. Povera
ragazza! rubare a lei che lavorava per dare pane a tutti quei fratellini che suo
padre le aveva lasciato sulle spalle, quando l'aveva piantata per andare a
cercar fortuna ad Alessandria d'Egitto! - Nunziata era come la cugina Anna,
quando l'era morto il marito, e le aveva lasciato quella nidiata di figliuoli,
che Rocco, il più grandicello, non le arrivava alle ginocchia. Poi alla cugina
Anna le era toccato di tirar su quel fannullone per vederselo rubare dalla
Mangiacarrubbe.
In mezzo a quel chicchierio saltò su la
Zuppidda, la moglie di mastro Turi il calafato, la quale stava in fondo alla
straduccia, e compariva sempre all'improvviso, per dire la sua come il diavolo
nella litania, ché nessuno s'accorgeva di dove fosse sbucata.
- Del resto, - venne a brontolare - vostro
figlio Rocco non vi ha aiutata neppure lui, ché se si è buscato un soldo è
andato subito a berlo all'osteria.
La Zuppidda sapeva tutto quello che
succedeva in paese e per questo raccontavano che andava tutto il giorno in giro
a piedi scalzi, a far la spia, col pretesto del suo fuso, che lo teneva sempre
in aria perché non frullasse sui sassi. Ella diceva sempre la verità come il
santo evangelio, questo era il suo vizio, e perciò la gente che non amava
sentirsela cantare, l'accusava di essere una lingua d'inferno, di quelle che
lasciano la bava. - «Bocca amara sputa fiele» -; ed ella ci aveva la bocca
amara davvero per quella sua Barbara che non aveva potuto maritare, tanto era
superba e sgarbata, e con tutto ciò voleva dargli il figlio di Vittorio
Emanuele.
- Bel pezzo, la Mangiacarrubbe, - seguitava
- una sfacciata che si è fatto passare tutto il paese sotto la finestra. «A
donna alla finestra non far festa», e Vanni Pizzuto le portava in regalo i
fichidindia rubati a massaro Filippo l'ortolano, e se li mangiavano insieme
nella vigna, sotto il mandorlo, li aveva visti lei. E Peppi Naso, il beccaio,
dopo che gli spuntò la gelosia di compare Mariano Cinghialenta, il carrettiere,
andava a buttarle dietro l'uscio tutte le corna delle bestie che macellava,
sicché dicevano che andava a pettinarsi sotto la finestra della Mangiacarrubbe.
Quel cuor contento della cugina Anna invece
la prendeva allegra. - Don Giammaria dice che fate peccato nortale a sparlar del
prossimo!
- Don Giammaria dovrebbe piuttosto far la
predica a sua sorella donna Rosolina, - rispose la Zuppidda - e non lasciarle
far la ragazzetta con don Silvestro, quando passa, e con don Michele il
brigadiere, che ci ha la rabbia del marito, con tutti quegli anni e quella carne
che ci ha addosso, la poveraccia!
- Alla volontà di Dio! - concluse la cugina
Anna. - Quando è morto mio marito, Rocco non era più alto di questa conocchia
e le sue sorelline erano tutte minori di lui. Forse che mi son perduta d'animo
per questo? Ai guai ci si fa il callo, e poi ci aiutano a lavorare. Le mie
figliuole faranno come ho fatto io, e finché ci saranno le pietre al lavatoio
avranno di che vivere. Guardate la Nunziata, ora ella ha più giudizio di una
vecchietta, e si aiuta a tirar su quei piccini che pare li abbia fatti lei.
- E dove è la Nunziata che non si vede
ancora? - domandò la Longa a un mucchio di monelli cenciosi, messi a
piagnucolare sulla soglia della casuccia lì di faccia, i quali al sentir
parlare della sorella alzarono gli strilli in coro.
- L'ho vista che andava sulla sciara
a fare due fasci di ginestre, e c'era pure vostro figlio Alessi che
l'accompagnava - rispose la cugina Anna.
I bambini stettero a sentire, e poi si
rimisero a pigolare tutti in una volta, e il più grandicello, appollaiato su di
un gran sasso rispose dopo un pezzetto:
- Non lo so dov'è.
Le vicine avevano fatto come le lumache
quando piove, e lungo la straduccia non si udiva che un continuo chiacchierio da
un uscio all'altro. Persino la finestra di compare Alfio Mosca, quello del carro
dell'asino, era aperta, e ne usciva un gran fumo di ginestre. La Mena aveva
lasciato il telaio e s'era affacciata al ballatoio anch'essa.
- Oh! sant'Agata! - esclamarono le vicine; e
tutte le facevano festa.
- Che non ci pensate a maritar la Vostra
Mena? - chiedeva sottovoce la Zuppidda a comare Maruzza. - Oramai deve compire
diciotto anni a Pasqua, lo so perché è nata l'anno del terremoto, come mia
figlia Barbara. Chi vuol pigliarsi mia figlia Barbara, prima deve piacere a me.
In questo momento si udì un fruscìo di
frasche per la via, e arrivarono Alessi e la Nunziata, che non si vedevano sotto
i fasci di ginestre, tanto erano piccini.
- Oh! la Nunziata! - esclamarono le vicine.
- Che non avevi paura a quest'ora nella sciara?
- C'ero anch'io - rispose Alessi.
- Ho fatto tardi con comare Anna al
lavatoio, e poi non ci avevo legna per il focolare.
La ragazzina accese il lume, e si mise lesta
lesta ad apparecchiare ogni cosa per la cena, mentre i suoi fratellini le
andavano dietro per la stanzuccia, che pareva una chioccia coi suoi pulcini.
Alessi s'era scaricato del suo fascio, e stava a guardare dall'uscio, serio
serio, e colle mani nelle tasche.
- O Nunziata! - le gridò Mena dal ballatoio
- quando avrai messo la pentola a bollire, vieni un po' qua.
Nunziata lasciò Alessi a custodire il
focolare, e corse ad appollaiarsi sul ballatoio, accanto alla sant'Agata, per
godersi il suo riposo anche lei, colle mani in mano.
- Compar Alfio Mosca sta facendo cuocere le
fave - osservò la Nunziata dopo un po'.
- Egli è come te, poveraccio! che non avete
nessuno in casa che vi faccia trovare la minestra, alla sera, quando tornate
stanchi.
- Sì, è vero, e sa pure cucire e si fa il
bucato da sé, e si rattoppa le camicie - la Nunziata sapeva ogni cosa che
faceva il vicino Alfio, e conosceva la sua casa come la pianta della mano; -
Adesso - diceva - va a prender la legna; ora sta governando il suo asino - e si
vedeva il lume nel Cortile, o sotto la tettoia. Sant'Agata rideva, e la Nunziata
diceva che per essere preciso come una donna a compare Alfio gli mancava
soltanto la gonnella.
- Così, - conchiudeva Mena - quando si
mariterà, sua moglie andrà attorno col carro dell'asino, e lui resterà in
casa ad allevare i figliuoli.
Le mamme, in crocchio nella strada,
discorrevano anch'esse di Alfio Mosca, che fino la Vespa giurava di non averlo
voluto per marito, diceva la Zuppidda, perché la Vespa aveva la sua brava
chiusa, e se voleva maritarsi non prendeva uno il quale non possedeva altro che
un carro da asino: «carro, cataletto» dice il proverbio. Ella ha gettato gli
occhi su di suo zio Campana di legno, la furbaccia!
Le ragazze fra di loro prendevano le parti
di Mosca, contro quella brutta Vespaccia; e la Nunziata poi si sentiva il cuore
gonfio dal disprezzo che gettavano su di compare Alfio, pel solo motivo che era
povero, e non aveva nessuno al mondo, e tutto a un tratto disse a Mena: - Se
fossi grande io me lo piglietei, se me lo dessero.
La Mena stava per dire anche lei qualche
cosa; ma cambiò subito discorso.
- Che ci vai tu alla città, per la festa
dei Morti?
- No, non ci vado perché non posso lasciar
la casa sola.
- Noi ci andremo, se il negozio dei lupini
va bene; l'ha detto il nonno.
Poi ci pensò su, e soggiunse:
- Compar Alfio ci suole andare anche lui, a
vendere le sue noci.
E tacquero entrambe, pensando alla festa dei
Morti, dove compar Alfio andava a vendere le sue noci.
- Lo zio Crocifisso, con quell'aria di
Peppinino se la mette in tasca la Vespa! - ripigliava la cugina Anna.
- Questo vorrebbe lei! - rispose di botto la
Zuppidda, la Vespa non vorrebbe altro, che se la mettesse in tasca! Ella gli è
sempre per casa, come il gatto, col pretesto di portargli i buoni bocconi, e il
vecchio non dice di no, tanto più che non gli costa nulla. Ella lo ingrassa
come un maiale, quando gli si vuol fare la festa. Ve lo dico io, la Vespa vuole
entrargli in tasca!
Ognuna diceva la sua dello zio Crocifisso,
il quale piagnucolava sempre, e si lamentava come Cristo in mezzo ai ladroni, e
intanto aveva denari a palate, ché la Zuppidda, un giorno che il vecchio era
malato, aveva vista una cassa grande così sotto il letto.
La Longa si sentiva sullo stomaco il debito
delle quarant'onze dei lupini, e cambiò discorso, perché le orecchie ci
sentono anche al buio, e lo zio Crocifisso si udiva discor- rere con don
Giammaria, mentre passavano per la piazza, lì vicino, tanto che la Zuppidda
interruppe i vituperi, che stava dicendo di lui per salutarlo.
Don Silvestro rideva come una gallina, e
quel modo di ridere faceva montare la mosca al naso allo speziale, il quale per
altro di pazienza non ne aveva mai avuta, e la lasciava agli asini e a quelli
che non volevano fare la rivoluzione un'altra volta.
- Già, voi non ne avete mai avuta, perché
non sapreste dove metterla! - gli gridava don Giammaria; e don Franco, ch'era
piccino, ci si arrabbiava e accompagnava il prete con parolacce che si sentivano
da un capo all'altro della piazza, allo scuro. Campana di legno, duro come un
sasso, si stringeva nelle spalle, e badava a ripetere che a lui non gliene
importava, e attendeva ai fatti suoi. - Come se non fossero fatti vostri quelli
della Confraternita della Buona Morte, che nessuno paga più un soldo! - gli
diceva don Giammaria. - La gente, quando si tratta di cavare i denari di tasca,
diventa una manica di protestanti, peggio dello speziale, e vi lascia tenete la
cassa della Confraternita per farvi ballare i sorci, che è una vera porcheria!
Don Franco dalla sua bottega sghignazzava
alle loro spalle a voce alta, cercando d'imitare la risata di don Silvestro che
faceva andare in bestia la gente. Ma lo speziale era della setta, si sapeva; e
don Giammaria gli gridava dalla piazza:
- I denari li trovereste, se si trattasse di
scuole e di lampioni!
Lo speziale stette zitto, perché si era
affacciata sua moglie alla finestra; e lo zio Crocifisso, quando fu abbastanza
lontano da non temere che l'udisse don Silvestro il segretario, il quale si
beccava anche quel po' di stipendio di maestro elementare:
- A me non me ne importa - ripeteva. - Ma ai
miei tempi non c'erano tanti lampioni, né tante scuole; non si faceva bere
l'asino per forza, e si stava meglio.
- A scuola non ci siete stato voi; eppure i
vostri affari ve li sapete fare.
- E il mio catechismo lo so - aggiunse lo
zio Crocifisso per non testare in debito.
Nel calore della disputa don Giammaria aveva
perso il battuto sul quale avrebbe attraversato la piazza anche ad occhi chiusi,
e stava per rompersi il collo, e lasciar scappare, Dio perdoni, una parola
grossa.
- Almeno l'accendessero, i loro lumi!
- Al giorno d'oggi bisogna badare ai fatti
propri - conchiuse lo zio Crocifisso.
Don Giammaria andava tirandolo per la manica
del giubbone per dire corna di questo e di quell'altro, in mezzo alla piazza,
all'oscuro; del lumaio che rubava l'olio, di don Silvestro che chiudeva un
occhio, e del sindaco «Giufà», che si lasciava menare per il naso. Mastro
Cirino, ora che era impiegato del comune, faceva il sagrestano come Giuda, che
suonava l'angelus quando non aveva nulla da fare, e il vino per la messa lo
comperava di quello che aveva bevuto sulla croce Gesù Crocifisso, ch'era un
vero sacrilegio. Campana di legno diceva sempre di sì col capo per abitudine,
sebbene non si vedessero in faccia, e don Giammaria, come li passava a rassegna
ad uno ad uno diceva: - Costui è un ladro - quello è un birbante - quell'altro
è un giacobino. - Lo sentite Piedipapera che sta discorrendo con padron
Malavoglia e padron Cipolla? Un altro della setta, colui! un arruffapopolo, con
quella gamba storta! - E quando lo vedeva arrancare per la piazza faceva il giro
lungo, e lo seguiva con gli occhi sospettosi, per scovare cosa stesse
macchinando con quell'andatura. - Quello là ha il piede del diavolo! -
borbottava. - Lo zio Crocifisso si stringeva nelle spalle, e tornava a ripetere
che egli era un galantuomo, e non voleva entrarci. - Padron Cipolla, un altro
sciocco, un pallone di vento colui! che si lasciava abbindolare da
Piedipapera... ed anche padron 'Ntoni, ci sarebbe cascato anche lui!... Bisogna
aspettarsi tutto, al giorno d'oggi!
- Chi è galantuomo bada ai fatti suoi,
ripeteva lo zio Crocifisso.
Invece compare Tino, seduto come un
presidente, sugli scalini della chiesa, sputava sentenze: - Sentite a me; prima
della rivoluzione era tutt'altra cosa. Adesso i pesci sono maliziati ve lo dico
io!
- No; le acciughe sentono il grecale
ventiquattr'ore prima di arrivare; - rispondeva padron 'Ntoni - è sempre stato
così; l'acciuga è un pesce che ha più giudizio del tonno. Ora di là del Capo
dei Mulini, li scopano dal mare tutti in una volta, colle reti fitte.
- Ve lo dico io cos'è! - ripigliò compate
Fortunato. Sono quei maledetti vapori che vanno e vengono, e battono l'acqua
colle loro ruote. Cosa volete, i pesci si spaventano e non si fanno più vedere.
Ecco cos'è.
Il figlio della Locca stava ad ascoltate a
bocca aperta e si grattava il capo. - Bravo! - disse poi. - Così pesci non se
ne troverebbero più nemmeno a Siracusa né a Messina, dove vanno i vapori.
Invece li portano di là a quintali colla ferrovia.
- Insomma sbrigatevela woi! - esclamò
allora padron Cipolla indispettito - io me ne lavo le mani, e non me ne importa
un fico, giacché ci ho le mie chiuse e le mie vigne che mi danno il pane.
E Piedipapera assestò uno scapaccione al
figlio della Locca, per insegnargli l'educazione. - Bestia! quando parlano i più
vecchi di te sta zitto.
Il ragazzaccio allora se ne andò strillando
e dandosi dei pugni nella testa, che tutti lo pigliavano per minchione perché
era figlio della Locca. E padron 'Ntoni col naso in aria, osservò: - Se il
maestrale non si mette prima della mezzanotte, la Provvidenza avrà tempo
di girare il Capo.
Dall'alto del campanile caddero lenti lenti
dei rintocchi sonori. - Un'ora di notte! - osservò padron Cipolla.
Padron 'Ntoni si fece la croce e rispose:
- Pace ai vivi e riposo ai morti.
- Don Giammaria ha i vermicelli fritti per
la cena stasera; osservò Piedipapera fiutando verso le finestre della
parrocchia.
Don Giammaria, passando lì vicino per
andare a casa, salutò anche Piedipapera, perché ai tempi che corrono bisogna
tenersi amici quelle buone lane; e compare Tino, che aveva tuttora l'acquolina
in bocca, gli gridò dietro:
- Eh! vermicelli fritti stasera, don
Giammaria!
- Lo sentite! anche quello che mangio! -
borbottava don Giammaria fra i denti - fanno anche la spia ai servi di Dio per
contar loro i bocconi! Tutto in odio alla Chiesa! - e incontrandosi naso a naso
con don Michele, il brigadiere delle guardie doganali, il quale andava attorno
colla pistola sullo stomaco, e i calzoni dentro gli stivali, in cerca di
contrabbandieri: - A questi altri non glielo fanno il conto di quel che
mangiano.
- Questi qui mi piacciono! - rispondeva
Campana di legno - questi qui che stanno a guardia della roba dei galantuomini
mi piacciono!
«Se gli dessero l'imbeccata sarebbe della
setta anche lui!» diceva fra sé don Giammaria, picchiando all'uscio di casa. -
Tutti una manica di ladri! - e continuò a borbottare, col picchiatoio in mano,
seguendo con occhio sospettoso i passi del brigadiere che si dileguavano nel
buio verso l'osteria, e rimuginando perché andasse a guardarli dalla parte
dell'osteria gl'interessi dei galantuomini, colui!
Però compare Tino lo sapeva perché don
Michele andasse a guardare gl'interessi dei galantuomini dalla parte
dell'osteria, ché ci aveva perso delle notti a stare in agguato dietro l'olmo lì
vicino per scoprirlo; e soleva dire:
- Ci va per confabulare di nascosto con lo
zio Santoro, il padre della Santuzza. Quelli che mangiano il pane del re devono
tutti far gli sbirri, e sapere i fatti di ognuno a Trezza e dappertutto, e lo
zio Santoro, così cieco com'è, che sembra un pipistrello al sole, sulla porta
dell'osteria, sa tutto quello che succede in paese, e potrebbe chiamarci per
nome ad uno ad uno soltanto a sentirci camminare. Ei non ci sente solo quando
massaro Filippo va a recitare il rosario colla Santuzza, ed è un tesoro per
fare la guardia, meglio di come se gli avessero messo un fazzoletto sugli occhi.
Maruzza udendo suonare un'ora di notte era
rientrata in casa lesta lesta, per stendere la tovaglia sul deschetto; le comari
a poco a poco si erano diradate, e come il paese stesso andava addormentandosi,
si udiva il mare che russava lì vicino, in fondo alla straduccia, e ogni tanto
sbuffava, come uno che si volti e rivolti pel letto. Soltanto laggiù
all'osteria, dove si vedeva il lumicino rosso, continuava il baccano, e si udiva
il vociare di Rocco Spatu il quale faceva festa tutti i giorni.
- Compare Rocco ha il cuore contento - disse
dopo un pezzetto dalla sua finestra Alfio Mosca, che pareva non ci fosse più
nessuno.
- Oh siete ancora là, compare Alfio! -
rispose Mena, la quale era rimasta sul ballatoio ad aspettare il nonno.
- Sì, sono qua, comare Mena; sto qua a
mangiarmi la minestra, perché quando vi vedo tutti a tavola, col lume, mi pare
di non esser tanto solo, che va via anche l'appetito.
- Non ce l'avete il cuore contento voi?
- Eh! ci vogliono tante cose per avere il
cuore contento!
Mena non rispose nulla, e dopo un altro po'
di silenzio compare Alfio soggiunse:
- Domani vado alla città per un carico di
sale.
- Che ci andate poi per i Morti? - domandò
Mena.
- Dio lo sa, quest'anno quelle quattro noci
son tutte fradicie.
- Compare Alfio ci va per cercarsi la moglie
alla città - rispose la Nunziata dall'uscio dirimpetto.
- Che è vero? - domandò Mena.
- Eh, comare Mena, se non dovessi far altro,
al mio paese ce n'è delle ragazze come dico io, senza andare a cercarle
lontano.
- Guardate quante stelle che ammiccano lassù!
- rispose Mena dopo un pezzetto. - Ei dicono che sono le anime del Purgatorio
che se ne vanno in Paradiso.
- Sentite, - le disse Alfio dopo che ebbe
guardate le stelle anche lui - voi che siete Sant'Agata, se vi sognate un terno
buono, ditelo a me, che ci giuocherò la camicia, e allora potrò pensarci a
prender moglie...
- Buona sera! - rispose Mena.
Le stelle ammiccavano più forte, quasi
s'accendessero, e i Tre Re scintillavano sui fariglioni colle
braccia in croce, come Sant'Andrea. Il mare russava in fondo alla stradicciuola,
adagio adagio, e a lunghi intervalli si udiva il rumore di qualche carro che
passava nel buio, sobbalzando sui sassi, e andava pel mondo il quale è tanto
grande che se uno potesse camminare e camminare sempre, giorno e notte, non
arriverebbe mai, e c'era pure della gente che andava pel mondo a quell'ora, e
non sapeva nulla di compar Alfio, né della Provvidenza che era in mare,
né della festa dei Morti; - così pensava Mena sul ballatoio aspettando il
nonno.
Il nonno s'affacciò ancora due o tre volte
sul ballatoio, prima di chiudere l'uscio, a guardare le stelle che luccicavano
più del dovere, e poi borbottò: - «Mare amaro!»
Rocco Spatu si sgolava sulla porta
dell'osteria davanti al lumicino. - «Chi ha il cuor contento sempre canta»
conchiuse padron 'Ntoni.